martedì 25 settembre 2012

Il Cagliari perde 0-3 con la Roma a tavolino. La vergogna di uno stadio che non c'è.

Il Cagliari calcio si è iscritto al campionato dichiarando di giocare le partite in casa allo stadio Nereo Rocco di Trieste, ma poi ha deciso ( con il placet di lega e federazione) di trasferirsi al campo di Is Arenas a Quartu S. Elena. La Serie A è oramai cominciata è lo stadio quartese resta un cantiere aperto con spogliatoi non funzionanti e spalti provvisori in allestimento. In questa condizione di estrema precarietà il presidente del sodalizio rossoblu ha pensato bene di invitare i supporters a recarsi allo stadio per assistere all'incontro con La Roma, sfidando il divieto del prefetto che aveva dato l'autorizzazione a far disputare l'incontro solo a porte chiuse. Dirette conseguenze di questa mossa suicida il rinvio dell'incontro disposto dal prefetto per mancanza delle minime condizioni di sicurezza e la susseguente attribuzione da parte del giudice sportivo della sconfitta 0-3 a tavolino per il Cagliari, responsabile in quanto società ospitante del mancato svolgimento della gara. Il presidente Cellino non ha saputo far altro che scagliarsi contro il dirigente giallorosso Baldini da lui accusato di approfittare delle disgrazie altrui. Ma in questa vicenda gli unici che cadono in disgrazia sono i pazienti e rassegnati tifosi del Cagliari, messi alla berlina di fronte a tutto il mondo, in una vicenda stadio dai toni grotteschi che si trascina da anni, nell'incapacità d Cellino e degli amministratori locali di trovare una soluzione che consenta al Cagliari di avere una sede di gioco adatta al campionato di serie A.

venerdì 7 settembre 2012

La Crisi economica: la nuova scusa del Consiglio regionale sardo per non cancellare le province

La crisi economica diventa l'alibi per rimandare la cancellazione delle province secondo quando stabilito dal referendum del 6 maggio. La Sardegna da Porto Torres fino al Sulcis affronta il dramma della mancanza di lavoro e prospettive? Ed ecco che il presidente della commissione Autonomia del Consiglio regionale, Paolo Maninchedda coglie la palla al balzo e rinvia la riunione che doveva discutere proprio del riordino delle province. Secondo l'esponente sardista l'argomento non sarebbe una priorità e tutte le energie andrebbero concentrate verso la questione economica. Un'iniziativa che non trova alcuna giustificazione giacchè per il Consiglio regionale, che per inciso non si distingue certo per attivismo, si tratta di prendere nota della volontà espressa dei sardi che proprio Maninchedda in quanto rappresentante del popolo sardo avrebbe il dovere primario di rispettare, evitando ogni ulteriore ostruzionismo che ne ostacoli la piena attuazione.

lunedì 3 settembre 2012

Disoccupazione in Sardegna al 15% nel secondo trimestre 2012

Secondo L'Istat la disoccupazione in Sardegna è salita dal 13% del secondo trimestre del 2011 al 15% del 2012. Nel secondo trimestre, in media, hanno lavorato 606 mila sardi, mentre altri 107 mila erano alle prese con la ricerca di un'occupazione. L'occupazione tiene grazie al lavoro stagionale legato al turismo e agli ammortizzatori sociali che hanno mantenuto al lavoro 20 mila persone. Cresce il lavoro precario: sempre nel secondo trimestre sono 67 mila i nuovi contratti a tempo determinato a fronte 42.500 contratti dello stesso tipo cessati. Cagliari, Carbonia-Iglesias e Medio Campidano sono i territori dove si è avuto il maggior calo di contratti a tempo indeterminato.

Carbosulcis e Alcoa: le cause del fallimento di un progetto industriale e l'assenza della politica

Carbosulcis e Alcoa sono aziende-zombie, tenute in vita da contributi a pioggia elargiti da decenni ( quasi 800 milioni di euro per la sola Carbosulcis), che hanno trascinato con se nel baratro l'intero territorio del Sulcis devastato dal punto di vista ambientale e dunque con all'orizzonte ben poche possibilità di riconversione .
L'estrazione e la lavorazione del carbone a Nuraxi Figus è costosa a causa dell'alto contenuto di zolfo; il tallone d'Achille dell'Alcoa di Portovesme è l'elevato costo dell'energia necessaria per la produzione dell'alluminio primario: problemi noti da anni che i lavoratori vivono sulla loro pelle ma che nessuno si è mai dato la briga di affrontare seriamente. Sul banco degli imputati la classe dirigente isolana, incapace di proporre una politica industriale autonoma e alternativa a quella imposta dall'alto dallo Stato centrale. Ora si vorrebbe che sia proprio lo Stato a porre rimedio alle distorsioni create: giusto sul piano del principio, improbabile sul piano pratico almeno fino a quando non saranno i sardi a volersi riprendere il proprio futuro chiamando in causa anzitutto coloro ( politici, imprenditori, sindacati) che hanno la responsabilità di decidere ( o in questo caso non decidere) quale direzione dare allo sviluppo dell'isola.